Il Belgio abbandona il carbone
Lo scorso 30 marzo nell’impianto di Langerlo, vicino Genk, si è deciso di bruciare l’ultimo pezzo di carbone. Dopo Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo e Malta, anche il Belgio ha deciso di abbandonare l’energia prodotta del carbone. Nei prossimi anni sarà la volta del Portogallo – che ha già annunciato di voler abbandonare questa forma di energia nel 2020 – e di Gran Bretagna, Austria e Finlandia.
Ora la centrale di Langerlo dovrebbe riconvertirsi a biomassa, un segnale positivo per tutti i sostenitori delle energie rinnovabili. Nonostante questo progetto, però, il Belgio non sarà ancora in grado di coprire il fabbisogno energetico totale e dovrà importare energia da altri Paesi.
Se da un lato, troviamo Paesi che non vedono futuro nelle energie fossili, dall’altro molti Stati europei, come Germania e Polonia, continuano a bruciare carbone.
Per il Belgio la decisione di abbandonare il carbone è senza dubbio una scelta epocale: durante il secondo dopoguerra, infatti, le miniere di carbone erano una fonte inestimabile di ricchezza.
Poco meno di 60 anni fa, l’Italia e il Belgio erano legati da un accordo che prevedeva carbone in cambio di forza lavoro. Ma dopo la tragedia di Marcinelle, l’8 agosto 1956, episodio in cui 136 connazionali persero la vita nella miniera del Bois du Cazier, il Belgio decise di puntare sul nucleare, che ancora oggi è la fonte di maggior sostentamento energetico del Paese.
In realtà, gli impianti di carbone hanno iniziato a chiudere già a partire dagli anni novanta, anche se a fine anni sessanta contribuivano al fabbisogno energetico del Paese per il 27% del totale.