Anche il Cile finisce vittima di un disastro ambientale. Un disastro che Greenpeace ha definito ‹‹di proporzioni inedite›› e dai ‹‹tratti catastrofici››. I riflettori sono puntati sull’arcipelago di Chiloé, ad un migliaio di chilometri di distanza dalla capitale Santiago: è qui che sono stati trovati morti migliaia di animali marini, tra cui uccelli, granchi e foche.
Colpa della “marea rossa“, una fioritura senza controllo di alghe tossiche che potrebbe essere stata generata dall’intensità di El Niño, nome con il quale viene identificato l’innalzamento della temperatura superficiale delle acque dell’Oceano Pacifico. Come se non bastasse, nei gironi scorsi sono stati gettati in male oltre 9 mila tonnellate di salmone in evidente stato di decomposizione che, molto probabilmente, hanno contribuito alla crescita esponenziale di questa alga.
Gli attivisti di Greenpeace sono convinti che la moria degli animali sia dovuta proprio alla fioritura di queste alghe pericolose per la salute, ma l’organizzazione ha chiesto alla presidente Michelle Bachelet di indagare su quanto sta accadendo. Anche perché oltre che a prefigurarsi come una catastrofe ambientale, quella che si sta consumando in questi giorni è anche una vera e propria grana a livello sociale: la pesca, infatti, è stata vietata in queste zone e a risentirne saranno i pescatori e le comunità locali che con la filiera del pesce ci mantengono famiglie intere.
La risposta del Governo non è tardata ad arrivare, tanto è vero che proprio la Bachelet ha nominato nei giorni scorsi un ministro ad hoc che possa gestire più da vicino la crisi e che, istituendo un comitato scientifico, possa cercare di risalire alle cause del problema ponendovi rimedio.
Viviana Bottalico