Per conservare la biodiversità diventa fondamentale preservare quelle aree dove l’impatto umano è minimo o addirittura completamente assente. Uno studio, pubblicato anche sull’autorevole rivista Nature, dimostra che sono proprio le aree più selvagge quelle da proteggere con grandissima attenzione, impegnandosi a salvaguardare le specie di animali e piante che le abitano.
La ricerca, che è stata condotta da un gruppo internazionale e coordinato da Moreno Di Marco, ricercatore del Dipartimento di biologia e biotecnologie Charles Darwin dell’università La Sapienza di Roma, ha mostrato dei dati che evidenziano anche come queste aree siano sempre meno presenti sul nostro pianeta.
Basti pensare che dal 1990 ad oggi sono andati perduti oltre 3 milioni di chilometri quadrati di natura selvaggia, un’area vasta quasi quanto l’India. Sempre stando allo studio, è emerso che le aree selvagge caratterizzano ormai meno del 20% delle terre emerse, con una progressiva tendenza alla diminuzione. Tuttavia, al momento non era chiarissimo quale fosse l’impatto di questa lenta ma inesorabile diminuzione sulla biodiversità.
La piattaforma innovativa sviluppata dal gruppo di ricerca ha aiutato a comprendere meglio proprio questo aspetto. Come confermato anche dallo stesso Di Marco, le aree selvagge sono un vero e proprio argine contro il rischio di estinzione, che è doppiamente presente negli altri luoghi.
Dato che molte specie sono capaci di spostarsi da queste zone con scarsissimo impatto umano alle altre, appare evidente come la loro salvaguardia debba essere considerata assolutamente prioritaria per la conservazione della biodiversità.
Di Marco chiarisce come sia necessaria un’espansione strategica delle aree protette per salvaguardare le aree di maggiore importanza per la biodiversità, specialmente se sono a rischio di degradazione. Sono quindi necessari regolamenti paesaggistici e di gestione del territorio che siano compatibili con il mantenimento di tali aree nel lungo termine.