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Trivellazioni in mare: cosa sono e come funzionano

Le trivellazioni in mare fanno sempre discutere per gli eventuali danni che possono determinare all’ambiente. Una trivella in mare può essere veramente molto dannosa, come sottolineano le principali associazioni ambientaliste. Il problema è rappresentato dal fatto che spesso se ne fa un uso massiccio, anche per quanto riguarda le trivelle italiane.

Ma spesso l’uomo non tiene conto del rispetto per il nostro pianeta, che, nell’ambito di una nuova economia per il futuro, potrebbe rappresentare davvero la chiave di volta per risolvere molti problemi. Ma le trivellazioni cosa sono? Delle trivellazioni il significato più specifico qual è? Vediamo di chiarire tutti questi aspetti, soffermandoci in particolare anche sui danni che le trivellazioni in mare possono arrecare anche all’ambiente.

Cosa sono le trivellazioni in mare

Potremmo parlare di trivellazioni in mare, ma anche di trivellazioni in Italia che vengono praticate nel sottosuolo della terraferma. Dal punto di vista tecnico la trivella costituisce un impianto di perforazione. Con degli adatti strumenti si perfora il suolo per creare un pozzo, dal quale estrarre delle materie prime.

Il livello della perforazione può variare. Alcune arrivano soltanto a poche centinaia di metri, mentre altre possono arrivare anche a 7-8 chilometri. Dal sottosuolo vengono estratti soprattutto idrocarburi, come il petrolio e il metano.

Quando si parla nel caso specifico di trivellazioni in mare, esse vengono definite off shore. Sono degli impianti che vengono realizzati su delle piattaforme galleggianti che vengono ancorate nel fondale del mare.

Le trivellazioni petrolifere in Italia sono quasi tutte di questo genere. Hanno spesso una torre di perforazione che può arrivare a superare i 60 metri di altezza.

Quali sono i possibili danni all’ambiente secondo le associazioni

Come abbiamo già specificato, le trivellazioni in mare, anche in Italia, come per esempio le trivellazioni nell’Adriatico, continuano a far parlare. Molte associazioni ambientaliste sono sul piede di guerra, perché secondo i loro esponenti le multinazionali non farebbero altro che portare avanti i loro interessi economici, non preoccupandosi dei possibili danni ambientali.

Greenpeace con il rapporto Trivelle Fuorilegge, i cui dati sono stati pubblicati nel 2016, fa notare che intorno agli insediamenti per le trivellazioni in mare ci sarebbero alti livelli di inquinamento.

Soprattutto a livello ambientale si potrebbero contare i danni, secondo le opinioni delle associazioni ambientaliste, per quanto riguarda il dissesto idrogeologico provocato dall’utilizzo di questi impianti di estrazione.

Inoltre gli ambientalisti sottolineano che la produzione a chilometro zero di petrolio e di metano sarebbe molto più rispettosa dell’ambiente. Infatti realizzare gli impianti in luoghi lontani per le trivellazioni in mare non farebbe altro che aumentare il livello di emissioni nocive e porterebbe alla necessità di costruire sempre più gasdotti.

Inoltre viene messo in evidenza sempre dagli ambientalisti come, per effetto delle trivellazioni in mare, ci sarebbe un aumento del rilascio di sostanze nocive nelle acque marine per gli organismi che vivono in questi habitat.

Gli ambientalisti parlano in particolare di idrocarburi policiclici e di metalli pesanti come arsenico, piombo, cromo, nichel, mercurio e cadmio.

Greenpeace in particolare sottolinea il rischio anche per gli esseri umani, perché queste sostanze non farebbero altro che inserirsi all’interno della catena alimentare, raggiungendo anche gli individui.

La situazione in Italia

Dobbiamo ribadire che le trivellazioni in mare fanno molto discutere. Infatti da sempre è stato aperto il dibattito fra chi difende queste attività per l’estrazione di idrocarburi e chi, come le associazioni ambientaliste, vorrebbe limitarle di molto.

Alla fine del 2018 alcune associazioni ambientaliste in Italia, come per esempio l’associazione No Triv, hanno accusato l’Esecutivo di aver utilizzato nuove concessioni per le trivellazioni in mare soprattutto in prossimità delle coste di alcune regioni, come la Calabria, la Puglia, la Basilicata e le coste della provincia di Ravenna.

Secondo ciò che hanno riferito gli ambientalisti, si sarebbe dato il via libera a delle società americane per effettuare ricerche in mare di giacimenti di idrocarburi in alcuni punti specifici del Mar Ionio.

La questione insomma continua a rimanere aperta e desta sempre delle discussioni molto accese, anche perché dal 2006, in seguito all’emanazione del decreto legislativo numero 152, le trivellazioni in mare sono vietate entro le 12 miglia di distanza dalla costa. Fanno eccezione a questo provvedimento le autorizzazioni già concesse che le norme estendono fino all’esaurimento del giacimento.

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Redazione