A molti coniugi e coppie conviventi era stata negata la doppia esenzione Imu per gli immobili costituenti l’abitazione principale. Ora, pare che tutta la questione si sia ribaltata. Scopriamone meglio i dettagli.
Parliamo di coppie che abbiano fissato la residenza abituale in due diverse case, all’interno dello stesso Comune. Inizialmente la doppia esenzione era stata negata, ma poi sul punto si è pronunciata la Corte Costituzionale.
In particolare, quest’ultima, con la sentenza 209/2022, ha riconosciuto come legittima la fruizione per due volte del medesimo beneficio, anche laddove la residenza abituale sia fissata in due abitazioni diverse nello stesso Comune.
Cosa ha condotto a tale decisione? Qui di seguito ne esponiamo un approfondimento.
Verrebbe da dire che l’esito della pronuncia della Corte, da un lato, possa definirsi “quasi” scontato. Si è trattato di un grosso passo avanti nell’equiparazione dei diritti, sempre sul tema delle esenzioni Imu. Si pensi che la disciplina veniva già così applicata (con la doppia esenzione) per le coppie di fatto, non sposate né unite civilmente. Tale situazione era giustificata col fatto che la coppia, essendo di fatto, avrebbe potuto avere, complessivamente, due residenze in termini di immobili sul territorio comunale.
Ciò era possibile sulla base che ognuno dei conviventi avrebbe potuto beneficiare dell’esenzione. La Corte ha poi condotto la decisione sul presupposto che, in termini di fatto, quella attuata sarebbe stata una discriminazione tra tipologie di coppie. Oltretutto, possiamo considerare come la discriminazione posta in essere gravasse proprio sulle coppie che avessero legittimato la propria unione.
Il rimborso ora non opera automaticamente, ma bisogna presentare la relativa istanza, nel termine di 5 anni dalla data del versamento, oppure da quando sia sorto il diritto alla restituzione del tributo (se quest’ultimo, nel caso specifico, sia giunto successivamente al pagamento). Attualmente, ne hanno diritto altresì i soggetti che hanno effettuato i pagamenti Imu da più di 5 anni, in quanto la decorrenza è calcolata dalla data di pubblicazione della sentenza, ossia il 13 ottobre 2022.
Laddove inoltre l’ente impositore emanasse un provvedimento di diniego nei confronti dell’istanza, si potrà ricorrere dinanzi al Giudice tributario nel termine di 60 giorni dalla notificazione. Anche il silenzio da parte dell’amministrazione interessata è valevole e può essere impugnato. In tal caso il termine decorre a partire dal compimento dei 90 giorni dalla presentazione dell’istanza.
Ciò in base a quanto previsto per il ricorso tributario dall’art. 21 D.Lgs n. 546/1992. Ed è bene attenersi alla presente disposizione, anche se la medesima contrasta con l’art. 1, comma 164 della legge 196/2006 (Finanziaria 2007), che prevede il diritto per gli enti locali di decidere entro 180 giorni se accogliere l’istanza del cittadino e restituire le somme in oggetto.