Pensioni al ribasso, milioni di italiani beffati: centinaia di euro in meno
Un nuovo ribasso sulle pensioni, finanche ad alcune centinaia di euro in meno. Di cosa si tratta?
In seguito all’approvazione della nuova Legge di Bilancio, per questo 2023 determinati importi pensionistici si sono innalzati del 7,3%. In un secondo momento è però subentrata la nuova decisione dell’esecutivo di procedere con il taglio di tali aumenti per determinate categorie e prevederli altre.
Questo è almeno quanto emerge dagli ultimi aggiornamenti da parte dell’INPS che ha quindi cominciato la decisione di tagliare la pensione degli ex lavoratori di alcune categorie in particolare. Vediamo nel dettaglio quanto accadrà in vista delle prossime settimane.
La nuova configurazione in materia di pensioni
Come riportato da nanopress, sono state predisposte 5 nuove fasce finalizzate alla rivalutazione pensionistica per l’arco che comprende il 2023 e il 2024. Il tutto parte da una rivalutazione per le pensioni al minimo, o anche al di sotto del trattamento minimo. In pratica, la rivalutazione consiste in un rialzo che arriva all’8,8% e non al 7,3% prima previsto.
A partire dal 1 gennaio di quest’anno quindi, le pensioni minime sono state rivalutate fino a 572 euro circa. Ciò vale per un livello che arrivi al minimo di trattamento pensionistico. Per le pensioni che arrivano fino a quattro volte tale trattamento, è previsto il rialzo standard del 7,3%. Sempre dello stesso tasso si è avuto il rialzo destinato alle pensioni d’invalidità.
Pensioni al ribasso, la situazione punto per punto
Per gli ex lavoratori che percepiscono fino a quattro volte il trattamento minimo, parliamo di un importo che non superi quota 2.100 euro. Superata tale ultima soglia, si iniziano a percepire quote minori dell’aumento previsto. In particolare, chi ha un trattamento compreso tra 4 e 5 volte il minimo, percepirà l’80% della quota standard prevista in aumento e dunque il 5,84% al posto del 7,3%.
Una rivalutazione del 55% si ha poi per le pensioni tra 5 e 6 volte il trattamento minimo. Si procede così con il tasso che decresce gradualmente fino alle “pensioni d’oro“, ossia quelle che superano 5.000 euro. In tal caso previsto un aumento del 35% sulla quota del 7,3%. Quest’ultima è sempre assunta come riferimento e dunque standard.
Il fine è stato quello di tutelare le fasce più deboli, anche se al riguardo non sono mancate le polemiche. Forte l’opposizione dei sindacati secondo i quali la manovra inciderebbe negativamente sul potere d’acquisto complessivo. La Cgil stima che essa si concretizzerà in una perdita fra i 400 e i 1.000 euro all’anno per il sistema a 5 fasce rispetto a quello a tre fasce.