Caos Ue, Reddito di Cittadinanza e Assegno unico bocciati: procedura d’infrazione per l’Italia
Ultime notizie per reddito di cittadinanza e Assegno Unico: Ue li rinvia entrambi, scopriamo cos’è successo!
Sia il Reddito di Cittadinanza che l’Assegno Unico sono stati bocciati dall’Unione Europea, di fatto l’Italia va verso la procedura dell’infrazione. Il motivo che ha portato questa decisione da parte della Commissione europea ad avviare il nostro Paese verso questa procedura è dovuto al fatto che sono disposizioni ritenute discriminatorie. Capiamo nel dettaglio la questione.
La motivazione di questi rigetto è la discriminazione contro i lavoratori dell’Unione Europea, questo perché i requisiti di fatto violano il diritto alla libera circolazione dei lavoratori.
La questione è stata approfondita in una nota rilasciata, in cui si spiega che l’accessibilità dovrebbe essere totale nei confronti dei cittadini dell’Union Europea, per i lavoratori subordinati, autonomi o quelli che hanno perso il lavoro, aldilà della loro residenza.
Rigetto dell’Ue nei confronti di RdC e Assegno Unico
La questione della residenza è un aspetto cruciale per queste misure. Di fatto il RdC pone la residenza come requisito, questa deve essere di almeno 10 anni, invece per l’assegno unico gli anni devono essere come minimo 2.
Nella nota si legge che la residenza per un periodo di tempo come requisito è ritenuta una discriminazione indiretta. Questo perché non permette ai lavoratori Ue di trasferirsi anche per piccoli periodi di tempo in un altro Paese senza perdere i benefici del reddito minimo. In più, discrimina anche i lavoratori sotto alla protezione internazionale, che tendenzialmente, stando ai numeri, sono coloro che hanno più bisogno di benefici di questo tipo.
Bocciatura Ue: le reazioni della politica
Ad oggi l’esecutivo ha fornito solo un commento, nello specifico questo viene direttamente dalla ministra del Lavoro Marina Calderone che ha commentato che occorre aggiungere dov’è consentito un controllo che scongiuri una corresponsione impropria e senza incorrere all’obbligo di un un recupero postumo.
La comunicazione pare che arrivi per permettere all’esecutivo di riformulare una misura. Considerando una declinazione che dia più dignità ai lavoratori, come sostiene il viceministro del Lavoro Maria Teresa Bellucci. Giorgia Meloni in questo scenario avrà bisogno da questo momento di uno strumento in più per procedere con una revisione a queste misure.
Cosa succede ora? Il nostro Paese di fatto possiede un tempo di 2 mesi per rispondere alla Commissione alla prima fase della procedura avviata. Fatto questo verrà inoltrato direttamente da Bruxelles un parere motivato, questo significa una richiesta di adeguamento al diritto comunitario. La fase successiva avverrà passati altri 2 mesi di tempo, ci sarà il ricorso alla Corte di Giustizia.